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Posts Tagged ‘nichilismo a palate’

C’è una sottile contraddizione interna nel celebrare gli anniversari di dischi come questo, che sono una pars destruens senza il minimo accenno di costruens, e dove quindi la parte diventa tutto, dischi che sono nati per dipingere a forza di scudisciate scenari di pura terra bruciata. Ma tant’è, non sto inaugurando un monumento e nel frattempo la Earache ha già fatto uscire l’inevitabile special anniversary edition, per lucrarci sopra un altro po’. Inoltre, per quanto Wikipedia assicuri che “Scum” è arrivato nei negozi di dischi esattamente nel luglio del 1987, non sono riuscito a determinare la data esatta, quindi trattasi di un anniversario leggermente discrezionale e aleatorio. E poi, benvenuti i cazzi miei, quest’album mi ha manomesso l’adolescenza e gliene sono tuttora grato. Io amo i Napalm Death.

“Scum” è universalmente riconosciuto come primo disco grindcore (o semplicemente grind) della storia. La definizione del genere costituì una sorta di punto d’arrivo nella rincorsa alla brutalità assoluta che per tutti gli anni ottanta avevano mosso da direzioni parzialmente divergenti l’heavy metal e il punk-hardcore. Il grindcore si presentò da subito come espressione limite di efferatezza e parossismo sonori. Brani di una manciata di secondi e struttura conseguentemente ridotta all’osso, chitarre e basso pesantemente distorti e con accordature molto più basse della norma, e soprattutto tempi di batteria spesso così veloci da mandare in frantumi le più elementari convenzioni ritmiche. Furono i Napalm Death a coniare il termine blast beat, per definire una tecnica che era già stata marginalmente sperimentata da altri gruppi, soprattutto di area hardcore punk, e fu Mick Harris, all’epoca batterista della band a codificarne definitivamente le forme e a associarle indissolubilmente al nascente genere. Tra i solchi di “Scum” (soprattutto la seconda facciata come vedremo più avanti) andò definendosi anche il caratteristico stile vocale associato al grind, giocato sull’alternanza tra voce gutturale bassa e fognaria, affine al growl del death metal, e urla altissime e stridenti (i cosiddetti shrieks), combinazione che rendeva pressoché incomprensibili i brevissimi testi, all’insegna di una critica sociale feroce. Il risultato, viscerale e straniante in pari misura, lucidissimo nel suo smantellamento nichilista della grammatica del suono estremo, non mancò di suscitare reazioni interdette. Una vasta schiera di epigoni contribuirà poi alla definitiva codificazione del genere, che fatto salvo un nutrito gruppetto di belle eccezioni, approderà presto a uno stanco manierismo. Ma qui e ora, ciò non interessa.

La storia di “Scum” e dei suoi ventotto brani per trentatre minuti di durata è indissolubilmente legata ai vorticosi cambi di formazione che ne segnarono la genesi. Senza dilungarsi sulle innumerevoli, spesso fugacissime, line-up che precedettero l’approdo discografico ufficiale, vale la pena ricordare che il disco stesso è frutto disarmonico di due sessioni diverse (registrate a distanza di mesi anche se nel medesimo studio, il Rich Bitch di Birmingham, città natale della band) e di due formazioni che in comune, oltre al nome, avevano solo il batterista, il già citato Mick Harris, l’uomo dei blast beat, fatto significativo data l’importanza capitale della batteria nell’economia del suono grind. Il lato A fu registrato nell’agosto 1986, e inizialmente pensato per apparire in uno split, da un trio formato oltre che da Harris da Nick Bullen (AKA Nick Napalm), voce, basso e membro fondatore della band e Justin Broadrick alla chitarra. Il lato B, registrato due mesi prima dell’uscita, vedeva alla voce Lee Dorrian, alla chitarra Bill Steer e al basso Jim Whitley.

Il risultato di questi assestamenti non suona particolarmente disomogeneo, anche se tra una facciata e l’altra è chiaramente percepibile uno scarto compositivo oltre che cronologico, la definizione in tempo reale di un  nuovo linguaggio sonoro. Si passa così dalle durate mediamente più estese e dalle ancora riconoscibili influenze hardcore-punk del lato A (in primo luogo Siege e Discharge) all’estremizzazione e stilizzazione del lato B, dove i blast beat non sono più parentesi all’interno di brani più articolati (“Instinct of survival”, la stessa “Scum” entrambe sopra i due minuti) ma la vera e propria spina dorsale delle composizioni (si veda il micidiale uno-due “Negative approach”“Success?” ) e dove appare per la prima volta il caratteristico dualismo vocale al quale facevo riferimento più sopra.

Le due line-up di “Scum” sono una sorta di piccola enciclopedia della musica estrema, una serie di nomi che ha poi dato contributi fondamentali alla definizione di vari stili “di confine” tra metal, punk, industrial, dub e elettronica, segno che l’intuizione che portò al grindcore era frutto di uno slancio creativo ben superiore a una meccanica accelerazione dei tempi e inasprimento delle voci a partire da un canovaccio genericamente hardcore-punk-metal. Senza entrare in dettaglio, anche se ne sarebbe valsa la pena, i musicisti di “Scum” hanno poi legato il loro nome a band e progetti quali Scorn, Godflesh, Jesu, Cathedral, Carcass e Doom tra gli altri, fatto che testimonia la straordinaria vitalità di una generazione intera di musicisti inglesi legati all’undergound.

Curiosamente, nessuno dei membri dell’odierna line-up dei Napalm Death, che a ogni buon conto è sostanzialmente stabile da circa vent’anni, prese parte alle registrazioni del primo disco, anche se vari pezzi di “Scum” fanno parte dell’abituale live-set della band. I dibattiti sulla legittimità di questo stato di cose che alcuni fan della primissima ora portano avanti sui commenti di Youtube mi lasciano piuttosto indifferente. La longevità dell’attuale formazione, la buona qualità pressoché costante della produzione discografica successiva e non ultima la devastante resa live di quei vecchi classici, per quanto mi riguarda, chiude sul nascere ogni discussione. Il ringhio inconfondibile e la presenza scenica di “Barney” Greenway, sostituto di Dorrian, hanno comunque fatto la storia della band anche se non ne hanno scritto i primissimi, fondamentali capitoli. Il resto sconfina nella menata.

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