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Posts Tagged ‘peli superflui’

Nessuno saprebbe dire come cominciò, e d’altronde è risaputo che quando i problemi, quelli veri, quelli grossi, prendono coscienza di se stessi e cominciano a manifestarsi, tutti sembrano guardare altrove, ma il fatto è che nel giro di più o meno dieci giorni, l’acqua diventò pelosa. Non si trattava dei soliti e già ben noti casi di inquinamento, mucillagine e deprecabile compagnia, ma di pelo propriamente detto, in buona sostanza assolutamente paragonabile a quello umano, folto come può esserlo quello di un maschio trentenne non eccessivamente irsuto. L’acqua smetteva così di essere, una volta per tutte, limpida e azzurra, pacifica illusione che una vasta pubblicistica di canzoni, poesie e depliant turistici continuava ad alimentare per i suoi biechi scopi, e diventava scura e torbida, non più così ovvia nè tanto meno benaccetta.

 

La mutazione riguardava tanto l’acqua selvatica di mari, fiumi, laghi e pozzanghere quanto quella addomesticata e servile di rubinetti e docce, senza dimenticare la pioggia che, un pelo per ogni goccia, ora lasciava le strade coperte di un manto finissimo ed orribile paragonabile a ciò che si può reperire nel lavandino di ogni uomo che si sia appena fatto la barba. Bere e sputacchiare diventarono tutt’uno e alcuni sprovveduti finirono anche per lasciarci le penne, soffocati da un nugolo di peluria che non erano riusciti a deglutire in tempo. Farsi la doccia smetteva di essere un piacere ristoratore e diventava un inutile calvario. Gli ultimi irriducibili bagnanti che a un capo o all’altro del mondo non volevano rinunciare alla soddisfazione di un bel bagno in mare, ne uscivano curiosamente appesantiti ed irriconoscibili. I pochi sventurati che soffrivano di ipertricosi, donne barbute in testa, che fino ad allora erano stati additati senza pietà come mostri, nonostante avessero al pari di tutti il loro bel da fare, esultavano vedendo finalmente i il resto dell’umanità costretto suo malgrado a mettersi nei loro panni.

Ogni abitudine, gesto, gioco, pietanza, superstizione o protesta che implicava la presenza dell’acqua ne uscì radicalmente sconvolta. Fu allora che tutti si resero conto di quanto, benché in certe zone del mondo continuasse irrispettosamente a scarseggiare, l’acqua fosse in realtà onnipresente.

Qualcuno particolarmente acuto si azzardò a suggerire, sobillando la generale costernazione, che l’insospettabile calamità arrivava ad alterare radicalmente la concezione stessa che l’uomo aveva di se stesso. Perché ormai dire che il nostro organismo era composto al 75% di acqua implicava ammettere che il pelo che albergava dentro ognuno di noi era probabilmente più di quello che si affacciava all’esterno. Che in qualche modo il nostro metabolismo e la nostra anima non erano più quelli di prima.

L’umanità però, benchè sporca e maleodorante, non si lasciò vincere dallo sconforto. Lasciate momentaneamente da parte, come sempre accade quando si pone in dubbio la possibilità stessa di continuare a praticarle, le loro beghe di quartiere religiose economiche politiche, i grandi della terra si riunirono in consiglio e con l’aiuto della scienza e della tecnica, qui impersonate da un nutrito drappello di tecnici e scienziati, misero il problema al microscopio, bombardandolo di ipotesi nella speranza che, sfinito, si lasciasse scappare tutti i perché e i percome che nessuno aveva saputo trovare fino ad allora.

Non si riuscì mai a risalire alle cause che avevano originato la trasformazione, che restarono avvolte nel mistero e furono sommariamente liquidate come imprevedibili conseguenze del cambio climatico ma in capo a poco, fu approntato un miracoloso depuratore che eliminava al 99.9% periodico la rivoltante peluria e che con uno sforzo enorme ed eroico fu installato a tempo di record nelle case di tutti coloro che potevano permetterselo.

La grande operazione, che nelle parole di un ispirato giornalista consistette nel “portare dal parrucchiere il fondamento dell’esistenza”, ebbe successo, e la vita di tutti tornò sostanzialmente alla normalità, una normalità fragile turbata e precaria come non mai, però nuovamente tale. Uno dei pochi segni permanenti del cambiamento fu l’elevato tasso di mortalità che continuò a registrarsi fra i surfisti che, stimolati da un pericolo di cui erano perfettamente consapevoli, con le loro tavole continuavano a cavalcare le onde alla vecchia maniera, e cioè contropelo, facendo sì che proprio come i gatti queste si spazientissero e si gonfiassero oltre misura per disarcionarli, spesso con successo. Fu così che molte tute di neoprene contenenti corpi senza vita finirono per fare mostra di sè sulle lanuginose rive dei mari del mondo. Ma nessuno si preoccupava di loro perché, come si dice, chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

Tutti gli altri, ora costretti ad alzarsi circa dieci minuti prima per mettere nel depuratore l’acqua destinata al caffè del risveglio (ancora ben vivo era il ricordo dei primissimi terrificanti giorni di emergenza, flagellati da un ripugnante caffè peloso) osservavano malinconici, gli occhi ancora gravati dal sonno, la spia luminosa del depuratore stesso e silenziosamente pregavano che tutto questo finisse, che si trattasse soltanto di uno scherzo di cattivo gusto, di uno di quei brutti sogni che nel loro dipanarsi sembrano interminabili ma che all’atto pratico non occuperebbero ad una persona sveglia più di quindici, venti minuti, giusto il tempo di una comoda pausa caffè.

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