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Posts Tagged ‘città impossibili’

Isolati

Per un vizio di classificazione alimentato da molti osservatori con abbondanti razioni di miopia, interesse o stupidità, tutti quegli spintoni in mezzo alla pubblica via erano stati catalogati come casi isolati. A metterli uno di fianco all’altro, tanti isolati –erano proliferati in libertà, diventando svariate centinaia- avrebbero formato un quartiere, e alcuni quartieri sono sufficienti per fare una piccola città, ma nello specifico la città non si era coagulata proprio per effetto di quelle valutazioni negative. Sarebbe stata altrimenti satura di sopraffazione, tutta piena di buche scavate nella pretestuosa ricerca di una spiegazione individuale, con tante grane piantate in ciascuna di quelle nuove cavità. E in ogni via, incluse le strade secondarie o periferiche, persone cadute, colte di sorpresa dallo slancio retorico di spinte e spintoni, episodicamente anche di bastoni, beninteso metaforici, tra altrettanto metaforiche ruote. Inoltre, a posteriori molti sarebbero poi scivolati nelle buche fresche a far compagnia alle grane, come se aver perso l’equilibrio non fosse stato già abbastanza. Ma, per quella scelta tassonomica condivisa dalla maggioranza, ogni isolato rimaneva tale e si valutavano separatamente la perdita di stabilità e lo sbilanciamento di ogni circostanza, mentre le spiegazioni a corredo si facevano labirintiche, proliferando su fatti semplici. I più, quindi, sorvolavano, beninteso sempre metaforicamente, ma i pochissimi che lo avevano fatto per davvero, usando spassionatamente i vantaggi del punto di vista aereo, avevano potuto scorgere lampanti affinità, perché in ogni singolo isolato c’erano inciampati e buche, senza ovviamente trascurare le grane. Chi si trovava ancora al livello del suolo invitava, un po’ tautologicamente, a rimanere con i piedi per terra, e poteva succedere che qualcuno che non era ancora riuscito a rialzarsi captasse questi inviti alla ragionevolezza e ne rimanesse sgradevolmente sorpreso, sentendosi incolpato della sua disgrazia. Così quella città potenzialmente fatta di paesaggi uniformi, di vicoli quasi indistinguibili, semplicemente non c’era, non ce n’era l’idea e nessuno riusciva a avvertire la lacuna. Chi si trovava bloccato in un isolato specifico, non potendo spostarsi, in parte per le conseguenze della caduta, ma soprattutto per la ristrettezza asfittica degli spazi, rimaneva dov’era e stentava a capire. A isolati raggruppati, sarebbe bastata una brevissima passeggiata per analizzare il paesaggio quasi unanime e cogliere non una ma varie antifone: e però, si è detto e ripetuto, le circostanze costringevano le valutazioni a rimanere difformi. Sarebbe bastato aggregarla, quella città, per capire che andava rasa al suolo. Ma mancava la lungimiranza, si faceva invece qualcos’altro un po’ a casaccio e quando il crepuscolo si addensava, lentissimo e tenace, ognuno, impegnato faticosamente a rialzarsi o ancora ben aderente all’asfalto sgarbato del suo scollegato frammento di città era portato a concludere liberamente che quell’oscurità incipiente fosse soltanto un problema suo.

(gennaio 2020)

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