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Posts Tagged ‘disinformazione’

Sono qui per constatare dei dati di fatto. Si potrebbe dire che constatare è un atto innocuo, o perlomeno, alieno alla malizia, che la sua finalità sia sempre quella di rafforzare la verità: e se non si commette l’errore di addentrarsi in quali contenuti possano essere effettivamente etichettati come veri, o come debbano essere interpretati per essere definiti tali, si tratta di un’affermazione piuttosto neutra, che difficilmente incontrerebbe il dissenso di un uditorio, o perlomeno della sua maggioranza. Ed è quello che ci interessa analizzare in questa sede.
Cominciamo, come esercizio introduttivo, riflettendo sul senso e sull’opportunità che la conferma di verità palesi e banalità risapute può acquisire in una prospettiva più ampia. Perché constatare è solo nel suo grado zero pronunciare un “sì”, oppure un “È così”, che è una considerazione già più sfaccettata, direi problematica, non fosse che la problematicità appare incongruente col compito che ho appena annunciato. È anche per questo che conviene arretrare e tornare a ciò che apparentemente non avrebbe alcun bisogno di interpretazioni supplementari.
“Il fuoco brucia”. “L’acqua è bagnata”. Nessuno contraddirebbe affermazioni tanto elementari e saldamente ancorate all’esperienza percettiva individuale. “La terra è rotonda” non rientra invece in questo tipo di asserzioni in quanto, benché si possa ormai considerare dato acquisito, non è stato certamente raggiunto grazie a un uso diretto delle nostre facoltà percettive. E infatti, in questo periodo storico avrete probabilmente sentito parlare dei cosiddetti “terrapiattisti”. Non saprei se tra di voi ce ne sono. Vi prego comunque di continuare ad ascoltare.
Una vasta gamma di verità sensoriali basiche è a disposizione di tutti, con l’eccezione dei neonat, e dei bambini in tenerissima età, che sono ovviamente sprovvisti anche delle più elementari conoscenze e che sulla constatazione a assimilazione di dati di questo tipo costruiscono passo a passo, mattone a mattone, la loro relazione con la realtà e, in seconda battuta, la loro identità.
Ad ogni modo, anche a sviluppo cognitivo completato, tutti continuiamo a constatare, il più delle volte in modo del tutto irriflesso perché tale prassi parrebbe ineludibilmente incorporata ai nostri schemi di ragionamento. Il dialogo con gli stimoli esterni, qualcosa che potremmo prosaicamente definire come “prendere le misure alla realtà” è un processo che non si interrompe mai, anche se in età adulta può riposare su una quantità estremamente significativa di dati acquisiti, e si limita perlopiù a una serie di risposte circostanziali a problemi pratici molto più limitati: spostarsi su una sedia allo scopo di trovare una posizione più comoda potrebbe essere un esempio calzante. Siamo costantemente in prima linea sul fronte degli eventi, anche se questa condizione acquista solo molto raramente un grado di drammaticità paragonabile a quello della metafora che ho appena usato: ma è un dato di fatto che questo continuo processo di, diciamo, interpretazione spicciola, ha come scopo contestualizzare l’informazione che riceviamo ininterrottamente. In certo modo, siamo costantemente immersi, senza rendercene conto, in un tentativo in prevalenza riuscito di placare la realtà, di smorzarla, di toglierle slancio o verificare che questo slancio si sia esaurito autonomamente: perché, instancabilmente, il netto si sfuma, il completo si tradisce ampliandosi o riducendosi, il chiaro si adombra, senza che questi processi arrivino a mettere in discussione in nessun modo la nostra percezione della realtà. Un’eccezione a tale stato di cose sono le cosiddette emergenze, che necessitano di risoluzioni più rapide o più articolate di un piccolo movimento d’assestamento sulla sedia o del togliersi la camicia se si avverte calore. L’emergenza è una contrazione, una burrasca improvvisa, nel gran mare delle cose risapute, le cui correnti non arrivano quasi mai a trasformarsi in onde. Ma non siete venuti qui per imparare i rudimenti del pronto soccorso, e il tipo di situazione con le quali interagirete quotidianamente sarà molto diverso.
Qualcuno di voi potrebbe interrogarsi sull’utilità di questo ciclo di lezioni, sull’eventuale valore aggiunto che l’acquisizione di una simile abilità potrebbe rappresentare, o se addirittura ci sia un qualche barlume di senso in queste attività: sono dubbi legittimi a questo punto del corso, e rivela semplicemente il vostro bisogno di essere accompagnati in questo percorso formativo.
Perché no, il senso ultimo di uno scrupoloso riscontro di dati evidenti non risiede nel superamento dell’imbarazzo che certe conversazioni estemporanee, da ascensore o da ufficio, causano nelle menti più ricettive allo scambio e al dialogo. No, non si tratta di attutire un senso di vergogna in alcuni troppo invadente, anche se qualora tale risultato apparisse come effetto secondario non ci sarebbe ragione per dispiacersene.
No, avvezzare la mente agli aspetti più palesi della realtà, raffinare la predisposizione a cogliere soprattutto ciò che è percepibile aldiqua degli sfumati confini dell’ambiguità interpretativa, vi garantirà una capacità indubitabile nel giustificare l’esistente. Sarà solo allora che un esercizio che potrebbe parere ai critici fine a se stesso accederà a un superiore, più profondo livello di significato: la giustificazione dell’esistente è skill imprescindibile per chi voglia saper cogliere sotto il furioso mutamento delle forme esteriori non già della realtà, ma dell’attività umana, che ne è il più importante sottoinsieme, i lineamenti di un ordine più profondamente radicato nel tempo, e negoziabile solo entro limiti ridotti.
Una certa scioltezza nella giustificazione della realtà garantisce in chi è in grado di argomentarla a dovere, a partire da fatti inoppugnabili, un senso di adeguamento alla stessa, una propensione a assecondarne le manifestazioni, un proficuo rifiuto delle asprezze della ragion critica. L’aderenza a come le cose si presentano può portare in ultima istanza a intuire in modo profondo la convenienza di rapporti di forza, di legami di dipendenza e di subordinazione che un’osservazione acuminata potrebbe decretare vantaggioso solo per chi si trova dalla parte del manico, confido che la banalità dell’immagine possa aiutarvi a cogliere l’importanza dell’oggetto della discussione. Saper cogliere ciò che è lapalissiano è esercizio spirituale propedeutico alla ricerca di una stabilità inattaccabile nel furioso proliferare di opinioni e punti di vista.
L’individuazione di ciò che più facilmente è constatabile in fenomeni complessi avrà il potere di avvicinarci a un numero virtualmente infinito di rilevamenti simili, di opinioni affini, che ci aiuteranno a fare massa senza che questa diventi mai critica, prossima cioè a disperdersi, a deflagrare.
L’interpretazione della realtà, attività nella quale scismatici di ogni risma hanno dimostrato di sapere eccellere, congiurando nel creare numerose se non innumerevoli visioni conflittuali, acquista il suo peso reale a partire dalla condivisione delle interpretazioni. Ciò che ci è richiesto nelle decisioni quotidiane, al di fuori di ambiti cavillosi e troppo profusamente ramificati come quello scientifico, è collimare con quanti più soggetti individuali su un pacchetto di minimi a partire dal quale stabilire norme sociali di ampia validità. E la verità, per quanto non vada pregiudizialmente rifiutata, non ha spesso valore dirimente: società intere hanno potuto funzionare correttamente per secoli poggiando su fondamenti che le evidenze sperimentali odierne confutano: si prenda ad esempio la sfericità della terra o la sua periodica rotazione intorno al sole. No, non sono qui per aizzarvi a confutare ciò che è acquisito, ormai lo avrete abbondantemente compreso. Semplicemente vorrei spingervi a valutare che la verità è in realtà accessoria al funzionamento e alla funzionalità di un corpo sociale complesso. Non importa l’accuratezza dell’opinione né la sua profondità: concordare su basi comuni ma poi inerpicarsi in articolate architetture di distinguo è controproducente, opacizza l’acquisito fino a comprometterlo. Non vi si richiede profondità quanto piuttosto il potervi appiattire su vasti orizzonti. E un’affermazione falsa, se adeguatamente appoggiata su un consenso molteplice sarà comunque utile alla società nel suo insieme, indebolendo il potenziale polemico della minoranza oppositrice.
Ora, continuo a notare sui volti di alcuni presenti una perplessità e un disappunto evidenti. Dalla mia posizione di “constatatore” sto modestamente cercando di comunicarvi che la verità, pur non essendo un valore o un obiettivo degno di biasimo, è a ogni modo ampiamente prescindibile. Costruire un’intesa sociale su fatti accertati è una possibilità a disposizione, non un principio fondativo. E anzi, in un numero rilevante di casi, la cosiddetta verità fattuale è controproducente, perché un’azione coerente basata sulle sue indicazioni potrebbe risultare antieconomica e pertubatrice. Nessun dato o informazione può essere isolato completamente dal vastissimo contesto di interazioni umane precedenti, o almeno dai suoi sviluppi più recenti. Tenete infatti in conto che quando vi parlo di “intesa sociale” non mi riferisco a modelli contrattualisti del vivere comune, peraltro completamente astratti, o alla cosiddetta democrazia,  ma più capillarmente alle interazioni tra gruppi di esseri umani nella loro lotta per l’affermazione di alcuni principi in sfavore di altri: quella, cioè, che viene comunemente chiamata “opinione pubblica”.
Ma vi prego di considerare che l’attività di un –continuiamo a chiamarlo così- “constatatore” tendenzialmente rifuggirà la ribalta, evitando i teatri del confronto, i luoghi, anche metaforici, nei quali le idee confliggono e la temperatura dello scontro è tendenzialmente più alta. No, è molto più consigliabile agire nelle retrovie, lavorando sulle materie prime del conflitto verbale, contribuendo a creare connotazioni positive o negative per i termini in uso, a modellare le idee che sottendono la discussione. Se mi si permette un’osservazione appena più personale, è proprio l’inattesa convergenza tra superficialità e profondità che mi fa amare questo oggetto di studio: il dovere di descrivere la superficie dei processi in modo così lapalissiano, con quella meravigliosa completezza caratteristica di ciò che è ovvio, col proposito di deviare energie e capacità analitiche dai nuclei profondi del nostro ragionare, per lasciarli, lo avrete capito, il pìù possibile intatti.
La relazione fondamentale è quella che unisce dati di fatto e buonsenso, creando tra i due una continuità che potrebbe essere spezzata da valutazioni troppo sistematiche, dall’assunzione volontaria di punti di vista troppo decentrati e critici rispetto a quelli della maggioranza.
Ecco, forse potreste avere dubbi sul significato di ciò che vi sto espondendo, accetto che le mie parole possano sembrarvi oscure e in certa misura astratte: è un paradosso che accetto perché nella quotidianità, una maggioranza schiacciante di noi vede le auto muoversi ignorando in modo più o meno completo quello che succede all’interno del loro motore. Parlandovi di aderenza alla superficie ho finito per allontanarmene, ma il senso di questo ciclo formativo è che, una volta usciti qui, voi abbiate interiorizzato gli schemi che vi propongo fino al punto di non doverli più esporre a scrutinio nel corso della vostra attività quotidiana di “constatatori”. Ciò che non accetto è che possiate avere bisogno di ulteriori esempi di buonsenso da parte di un relatore, che non possiate trovarne almeno un paio da soli. Adesso interromperò brevemente la mia esposizione, un paio di minuti saranno sufficienti, per lasciarvi appuntare sui vostri quaderni quanti più ragionamenti di buonsenso, possibili, in modo che possiate constatare da soli quanto dovrebbe essere spontaneo, quasi irriflesso, tanto per un “constatatore” professionista quanto per il più anonimo commentatore su un qualsiasi social media, trovarne esempi difficilmente attaccabili, che possano aiutarvi a costruire una concordia di massima tra interlocutori anche estemporanei. È qui che si gioca la partita: nel saper identificare riferimenti immediati e stabili, che possano indirizzare un dibattito pubblico. Se state pensando che una simile operazione possa essere assimilata a un sabotaggio, penso che siate nel posto sbagliato, anzi, che siate voi persone sbagliate per questa mansione. Normalmente però non succede, e non abbiamo mai avuto bisogno di discutere i nostri criteri di reclutamento. Ad ogni modo, a questo punto della formazione il diritto di recesso non ha più validità, e avete firmato volontariamente una decina di liberatorie. Purtroppo, e non dovrei essere io a dirlo, internet ci ha disabituato ai dettagli, la fretta di accedere a contenuti sempre nuovi ma quasi casuali ha sopraffatto molti di noi.
Prima di cominciare l’esercizio ricordate che i vostri esempi non possono essere condivisi né commentati con gli altri presenti. Tra un paio di minuti comincerò a passare tra i banchi. Ovviamente, nemmeno io leggero a voce alta i vostri elenchi.

Allora, per quanto mi riguarda, i commenti non verbali che vi ho fornito sono l’intervento meno intrusivo che posso permettermi per guidare la vostra formazione e al tempo stesso lasciarvi quanta più autonomia di giudizio possibile. Quando sarete su Facebook o Twitter nella solitudine di casa vostra, solo voi e i vostri account reali, come peraltro vi sarà già successo innumerevoli volte prima di arrivare qui, non disporrete di nessun consiglio esterno, e le relazioni che dovrete redigere saranno comunque troppo poco frequenti per poter fungere, diciamo così, da guinzaglio. I responsi che vi arriveranno dovranno godere della massima considerazione da parte vostra ma, in modo non dissimile da questo ciclo di formazione, sono stati concepiti in modo tale da favorire la vostra libertà d’azione. Dovrete saper trovare il vostro stile, e forse questa indicazione giungerà a alcuni di voi come una sorpresa. Vi prego però di considerare le cose da una prospettiva più ampia: semplicemente abbiamo bisogno di interventi di tipo diverso, e di una presenza capillare. I bot sono sicuramente utili, e indubbiamente abbiamo una necessità assoluta di persone capaci di redigere informazione sintetica e verosimile a partire dalle linee guida più adatte alle circostanze del momento, e non mi riferisco a teorie fantasiose come il terrapiattismo, ma a interventi assai più specifici e mirati. Il vostro compito, però, è più delicato, più sensibile: eppure non mancano mai voci, anche all’interno delle nostre organizzazioni, che lo definiscono, in modo meno lusinghiero, impalpabile. Personalmente, col mio lavoro quotidiano, cerco di mettere a tacere queste voci di dissenso, di rispondere con i fatti, anche se è arduo smuovere costoro dall’avviso che la vostra azione sia difficilmente sottoponibile a criteri di misurazione oggettiva. Che continuino a dedicarsi ai bot, dico io. Voi sarete in prima fila non a creare idee, che infatti saranno già sul campo, ma a cesellarle: non sarete voi a indicare la direzione, ma la rotta avrà comunque bisogno di numerosi, piccoli aggiustamenti che dipenderanno interamente da voi. Anche perché, come ho accennato prima, non avrete la possibilità di giocare in incognito. I vostri interventi appariranno nella sezione commenti di organi dalla grande diffusione, e i vostri profili saranno perfettamente tracciabili, perché saranno gli stessi che userete nella vostra vita privata. Già da tempo gruppi di attivisti si stanno muovendo allo scopo di penalizzare tramite sanzioni pecuniarie i toni più estremi dello spettro di discorso che ci interessa promuovere. Non è nostra intenzione limitare questi interventi più accesi, che nella maggior parte dei casi non abbiamo bisogno di creare direttamente. e capirete sicuramente che, anche dal punto di vista finanziario, pur nell’inasprirsi di questo tipo di controffensiva, sono per noi una voce di bilancio perfettamente gestibile. Discorso diverso, ovviamente, per i poveri disgraziati che commentano sinceramente e di testa loro: non possiamo pensare a tutti e d’altro canto, al primo cenno di reazione, si squagliano come neve al sole.
Voi avrete il compito di apparire ragionevoli in ogni circostanza: membri perfettamente integrati del consorzio civile, al riparo da qualunque condizione di marginalità che potrebbe giustificare eccessi verbali, insulti immotivati, interventi a gamba tesa -su internet le metafore calcistiche si vendono stupendamente. Siete chiamati a scrivere contenuti affini a quelli dei più virulenti odiatori, ma con un arsenale retorico agli antipodi del loro, che ve ne distanzierà in modo decisivo agli occhi dell’opinione pubblica. Acquisita la necessaria distanza, sarà vostro dovere segnalare che sicuramente certe espressioni di violenza verbale vanno esecrate e isolate, a beneficio dell’intero corpo sociale, ma che al tempo stesso contengono un germe di verità che i pacificatori della rete, con la loro visione accomodante, sono portati a ignorare. Questa sarà la vostra principale consegna, che dovrete essere capace di camuffare parzialmente all’interno di interventi concisi e efficaci. È per questo che vi richiediamo uno stile personale. Voi ci metterete la faccia, e non solo metaforicamente: è fondamentale, dirimente, direi, che sembriate sempre parlare a titolo esclusivamente personale. Se mi permettete di giocare con un paio di frasi fatte, dovrete essere il ceto medio riflessivo della maggioranza silenziosa. Sono comunque il primo a pensare che certe definizioni ammiccanti lascino il tempo che trovano, perché il nostro campo d’azione, internet e le reti sociali, ma in generale qualunque strumento che si possa prestare a una comunicazione virale, ha da tempo reso la maggioranza oltremodo rumorosa. Se questa non fosse semplicemente una metafora, temo che saremmo tutti sordi da molto tempo. Eppure è ideale che sia così, la sindrome da accerchiamento e altre forme di paranoia assimilabili comprimono lo spazio per il ragionamento sul lungo termine, e nelle presenti circostanze storiche già cominciamo a apprezzare effetti più duraturi di tale dinamica. Per questo motivo, è importante che i commentatori più feroci, che hanno nella tastiera l’unica via di fuga da una vita in ogni senso limitata, credano di essere in minoranza. Permettetemi di mettere momentaneamente tra parentesi l’etica professionale: spesso mi strappa un sorriso vedere come le teorie più farraginose e contradditorie riescono a guadagnare supporto tra soggetti di questo tipo. Quando vedono marcio quasi dappertutto non sbagliano, è evidente, ma le loro intuizioni corrette iniziano e finiscono qui. In virtù delle vostre mansioni, voi potreste anche fungere da riferimento per alcuni di loro, perché sapranno scorgere dietro i vostri modi educati una certa sinfonia di fondo, ma è probabile che il vostro impatto su questo sterminato segmento di popolazione sia prossimo allo zero. Non sarà per loro che scriverete, comunque, ed è per questo fondamentale che sappiate esprimervi correttamente, osservando scrupolosamente un buon numero di codici comunicativi e comportamentali: credo sia inutile precisare che il Caps Lock deve restare disattivato. Confidiamo in voi per un decisivo contributo a un processo di normalizzazione che già in questi anni può apparire prossimo al completamento ma che in realtà deve ancora attraversare molte fasi di sviluppo prima di potersi dire realmente riuscito. Sarà nostro dovere aiutarvi a parteciparvi fornendovi gli strumenti interpretativi necessari al compito. L’abbassamento costante, e al tempo stesso impercettibile, del livello del discorso però spetta a voi. È un lavoro delicatissimo e in larga parte artigianale che, come vi ho detto, nemmeno tra i nostri è apprezzato come meriterebbe. Voi però dovrete dimostrare di non arrendervi alle prime avversità: vi muoverete in un ambiente che offrirà incessantemente resistenza, ma dovrete essere capaci di ignorare questa frizione, per quanto logorante possa rivelarsi. Anzi, anche qualora non si presentino ostacoli, io vi chiedo la capacità di rappresentarveli mentalmente, di agire come se foste costantemente immersi nel più ostile degli ambienti. Questo senso di difficoltà potrebbe essere propedeutico all’ottenimento del passo di marcia che considero ottimale, di quella lentezza che vi renderà difficilmente percepibili agli occhi dei nostri antagonisti. Fuori dal vostro orario d’azione non posso impedirvi di fantasticare, di cullarvi nell’idea consolatoria che possano mancare solo pochi centimetri per toccare il fondo, così lungamente agognato. E che finalmente si possa cominciare a scavare di lì a poco. Ma quando sarete operativi, dovrete mettere da parte simili fantasie e dimostrare di sapere immergervi in un ambiente che a uno sguardo superficiale, pieno com’è di sprovveduti urlanti, potrebbe sembrare amico. Ma non è così, e dovrete calibrare il raffinatissimo attrito verbale che vi si richiede a dispetto delle critiche più acute. La vostra azione congiunta sarà percepita dai più accorti solo quando sarà troppo tardi per arrestarne l’effetto. Sappiate trasformarvi nelle sabbie mobili in cui i nostri avversari finiranno invischiati mentre credono di agire nella massima libertà. Ho terminato. Vi rivedrò qui mercoledì.

(scritto tra novembre 2019 e febbraio 2020)

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