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Posts Tagged ‘Finire su Instagram per errore’

Non stava cercando nulla, e quindi ancor meno se stesso, ma scorrendo pigramente le foto di uno dei profili social di quel ristorante che frequentava spesso durante i suoi viaggi di lavoro, si era scoperto sullo sfondo di uno scatto che ritraeva due ragazze sorridenti dietro ai loro piatti così belli da vedere. Quelle immagini un po’ tutte uguali, vagamente anodine, cercavano implacabilmente di affermare il concetto che lì non solo si mangiava bene, ma si trascorrevano momenti piacevoli, bene prezioso che nelle vite di troppi scarseggia. Da frequentatore abbastanza regolare qual era non poteva che parlare bene di quel ristorante, anche se in realtà avrebbe avuto ben poco da dire sull’”esperienza” che le foto provavano a raccontare, visto che mangiava in tempi sempre abbastanza ristretti, tallonato dalle ingiunzioni inflessibili della sua agenda. E in effetti, nell’immagine che aveva appena trovato senza volere, guardava di lato con fare apertamente interlocutorio, come cercando qualcosa che attirasse la sua attenzione così da ingannare l’attesa delle pietanze. Le ragazze davanti a lui, invece, occupavano coscientemente quasi tutto lo spazio dell’immagine, sapendo di essere fotografate, eppure restava un riflesso d’involontarietà nella mano vagamente sfuocata di una di loro e nella posizione sbilenca di una forchetta sul tavolo. Nonostante la data di caricamento della foto riducesse drasticamente le opzioni, non gli riuscì di rievocare le esatte circostanze di quel giorno.
Spinto dalla curiosità, prese ad esaminare decine di immagini, caricate nel corso del precedente anno e mezzo, nella speranza improvvisa di rivedersi dietro ai clienti, indifferente alle loro vite, ma disposto a fornirgli, inconsapevolmente, un contesto al quale appoggiarsi: e però, nonostante le sue visite fossero state sufficientemente numerose da giustificare la sua presenza in altri scatti, dietro a quei volti anonimi c’erano soltanto altre facce altrettanto sconosciute, e se ne dispiacque.
Esaurita infruttuosamente la pagina del ristorante, si rese conto però che avrebbe continuato la ricerca, che ritrovarsi in altre foto era diventata un’estemporanea necessità. E infatti fece mente locale nel tentativo di radunare i nomi di altre pagine, di altri locali dove capitava regolarmente, e addirittura di pub e ristoranti dove era finito per caso una o al massimo due volte, e che non aveva in previsione di tornare a visitare. Ma trovò soltanto una foto, che peraltro ricordava nitidamente, nella quale brindava insieme a cinque amici, in piedi, in primo piano, con solenne allegria, nel suo pub di fiducia, non a caso scattata dal proprietario, anche lui amico di vecchia data: e si mise a analizzarne lo sfondo, quasi desiderasse scambiarsi di posto con i clienti nelle retrovie, o ad ogni modo cercare elementi di novità in un’immagine che conosceva perfettamente e che forse non aveva mai davvero considerato nella sua interezza.
Nei giorni successivi, mentre viveva con scrupolo e attenzione la sua vita, mentre faceva quello che per corcostanze personali o sociali era arrivato a definire come dovere o piacere, non smise di pensare alla foto del ristorante, con quella che, gli parve di capire nel dipanarsi della riflessione, sentiva come una specie di nostalgia. Ma di cosa, esattamente? Non certo delle circostanze per nulla speciali di quella giornata, non del luogo, che avrebbe visitato di nuovo tra meno di due settimane, non delle ragazze in primo piano che, ne era sicuro, quel giorno non aveva nemmeno notato, e che comunque non conosceva. In quanto al lavoro, non poteva mancargli, perché non lo aveva cambiato nel frattempo, e perché comunque ce n’era sempre troppo.
Ma forse, da quell’ultima constatazione, arrivò gradualmente a sospettare che quello che gli stringeva un po’ il cuore non era la mancanza di qualcosa, quanto piuttosto la volontà assertiva di vivere frammenti della sua esistenza, o forse perfino una parte più consistente di essa, nella stessa condizione di irrilevanza che quella fotografia gli aveva casualmente assegnato. Certo, a volte poteva farlo di proposito, poteva, per esempio, trascorrere una domenica pomeriggio abbandonato sul divano con la radio sintonizzata su un programma che non gli interessava, notare improvvisamente un brandello di canzone per poi dimenticarlo immediatamente, o in alternativa finire per ignorare un podcast al quale aveva pianificato di dedicare il massimo della concentrazione. Ma no, non era esattamente la stessa cosa, perché anche in quei comportamenti indolenti c’era comunque una particella d’intenzionalità, o un minuscolo conflitto della volontà, e accontentarsi di una sua sconfitta, come appunto in un pomeriggio colonizzato dall’ozio, forse non era sufficiente.
La virtù della foto, ora lo sapeva, non consisteva nelle sue circostanze ordinarie, ma nella prospettiva, che gli regalava una genuina irrilevanza, anche se in quel momento era del tutto immedesimato nel dovere di vivere, e aveva fretta che arrivasse il cibo, e voglia che fosse buono, e bisogno di rituffarsi nei suoi impegni. Il sollievo stava tutto lì, nel notarsi ininfluente per la riuscita dello scatto, o intercambiabile con chiunque altro. E certo, in ultima analisi capiva che cercare altre sue foto parimenti interlocutorie contraddiceva quell’improvvisa libertà, ma sospettava anche che, superando il paradosso, finisse col riaffermarla con forza ancora maggiore, perché anche ammettendo che avesse trovato altre immagini, che era ragionevole pensare che non esistessero, le foto avrebbero ritratto estranei, dicendo pochissimo sulla sua vita, e mancando completamente della forza e della precisione necessari a raccontarne il senso. E in fondo, qualora fossero invece nascoste chissà dove, anche non trovare altre immagini gli lasciava il piacere di scoprirle in un secondo momento, o la vertigine di morire senza saperne nulla. Ad ogni modo, in quella foto era salvo, nonostante non lo fosse mentre veniva scattata. E avrebbe potuto esserlo altre volte, senza muovere un dito, anche se nel momento in cui veniva salvato fosse stato alle prese con un problema immane, con la noia o la malinconia. O addirittura con l’allegria. Avvertì un brivido di ubiquità.
E benché non potesse avere per la propria vita la stessa indifferenza delle due ragazze al centro della foto, probabilmente assorbite dalla preoccupazione per un accenno di occhiaie o un ciuffo di capelli riottoso, poteva avvicinarcisi un poco, beninteso senza raggiungerla, perché arrivare a quel punto sarebbe coinciso con una precisa volontà di annullamento, che in realtà non aveva. Di quella via di fuga desiderava soltanto scorgere l’inizio, per costruirvi un piccolo spazio di emancipazione dal peso dell’identità.
Pensò anche che poteva offrire una simile consolazione alle figure sullo sfondo delle sue fotografie, quelle cioè dove appariva in primo piano, quelle dov’era protagonista, e avvertì un subito slancio di generosità. Poi concluse che probabilmente nessun’altro avrebbe desiderato un simile regalo, e l’ironia di quell’osservazione lo fece sorridere.

(scritto a gennaio 2022)

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