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Posts Tagged ‘messaggi’

Il cellulare si è messo a vibrare, sono passate ormai due settimane da allora, e mi è arrivato questo messaggio da un numero non in memoria. Do un’occhiata all’avatar, uno scatto ravvicinato di rami in fiore con ritagli di azzurro cielo sullo sfondo, e mi dice ancora meno del numero. Con un’intimità che non sono ancora sicuro di volergli accordare, l’ignoto mi chiede se sto bene poi specifica che lui tutto ok e che in qualche modo sta continuando a lavorare in relativa sicurezza, quindi non ci si può lamentare. Ho riletto il messaggio ore più tardi, ancora incerto sul da farsi, mentre il telegiornale riversava nella stanza dati preoccupanti sulla caduta libera del Pil, e mi sono sentito fugacemente sollevato per il destino dello sconosciuto. Allora ho finamente trovato il coraggio, o forse solo la voglia?, di rispondergli qualcosa di generico pr sondare il terreno (con alcune faccine a smorzare la tensione). Ha visualizzato all’istante e nel giro di cinque secondi stava già digitando una risposta.

In realtà, da quando la generalizzazione del lockdown ha equiparato noi e il resto del paese alle prime zone rosse, di messaggi simili ne ho ricevuti parecchi, con l’unica differenza che si trattava sempre di numeri noti. Persone come Gianni non fanno testo, ci sentiamo tutte le settimane da quando ho installato Whatsapp, quasi dieci anni, e ci siamo incrociati già due volte anche al supermercato, alzando le braccia alla distanza in segno di saluto invece che di resa. No, adesso il cellulare porta nelle mie due stanzette chiuse un sacco di gente che qui non è mai entrata, perché quando ci sentivamo regolarmente abitavo nella casa vecchia, o addiritura ancora dai miei, e anzi forse non è mai entrata nemmeno là. Ma prima era facile pensarci dispersi nell’atmosfera rarefatta dei nostri paesini, ognuno indaffarato con la sua normalità, e lasciarci in pace perché tutto appariva indiscutibilmente sotto controllo. Poi certo, poteva succedere, come è successo, che a un aperitivo qualsiasi, in compagnia di Gianni, addentando un quadretto di pizza come altre cinquanta volte, un conoscente ci dicesse che Bernardi, figura remota dei tempi delle medie, la cui faccia da adulto ricordavo a malapena, era finito in ospedale con tutti e quattro gli arti in trazione dopo uno spaventoso incidente stradale: anche quando la normalità si incrinava improvvisamente, sapevo comunque che quelle eccezioni di solito prendevano dal mazzo uno di noi alla volta, scaraventandoci in un’emergenza privata che lasciava il resto del mondo intatto: forti della nostra distanza di sicurezza, fregarsene o preoccuparsene sinceramente era quasi la stessa cosa. Da tutte quelle chiacchiere col bicchiere in mano era molto più probabile che venissi a sapere di matrimoni e future gravidanze, ed è sempre molto più facile rispondere alle buone notizie. Ma adesso?
In pochi scambi di battute liquidiamo il riassunto delle puntate precedenti. In alcuni casi, anche se a pensarci bene ho contattato a mia volta altrettante persone, mi punge per un attimo il dispiacere di non essere stato io a pensare per primo a loro, ma rispondo alla convocazione, unendomi con un sorriso che non vedrà nessuno a tutte le pattuglie di ritornanti nelle quali hanno la bontà di chiamarmi.
Mi rendo conto immediatamente di avere in archivio pochissimi eventi degni di nota, pochissimi cambiamenti, o novità di ogni ordine e grado da giocarmi come agl aperitivi, e quindi mi limito soprattutto a leggere quello che raccontano gli altri. Quasi nessuno, e d’altronde non lo faccio nemmeno io quando scrivo per primo, spiega subito la vera ragione dei messaggi, il motore della curiosità che spinge a rompere un silenzio che è quasi sempre l’opzione più comoda. Lo sappiamo tutti, quell’aria rarefatta nella quale succedeva pochissimo è diventata pericolosa; e se a ridosso dell’ora di cena l’amico di ieri ti risponde con punti esclamativi e faccine, pochissime le parole, è facile immaginare che stia bene, che la sua quotidianità si sia ristretta come la tua, ma per il momento sia in grado di difendersi dagli eventi.
Ed è confortante saperlo. Anche se è improbabile che le nostre strade tornino a incrociarsi, anche se c’è un’unanime accettazione del solco che le circostanze hanno scavato tra noi, anche se perfino una videochiamata sarebbe forse un’esagerazione, il sollievo che provo nel sapere che la persona che mi scrive sta bene è sincero. Poi il dialogo prosegue, e lì le strade si biforcano: con alcuni finiamo a parlare di amici in comune, altri mi spiegano come i loro figli piccoli stiano affrontando la situazione, e sono egoisticamente felice di non essere nei loro panni. In certi casi si precipita subito nella rievocazione senza la minima volontà di uscire dal passato, segno che tradisce l’imbarazzo e lo sforzo che la rottura di quell’equilibrio del silenzio ha comportato; in altri ancora lo scambio di cortesie riguarda la salute delle famiglie, spesso persone delle quali ignoro addirittura il nome. In un caso, con un frequentatore del bar sotto casa vecchia, una chiacchierata apparentemente neutra sul calcio è degenerata in un’aspra discussione sulla riapertura del campionato, che si è interrotta bruscamente e non è stata riesumata da nessuno dei due, dando per fallito il tentativo.
L’aspetto piacevole di queste conversazioni è che le circostanze oggettive ci impediscono di indulgere nell’ipocrisia, proponendo improbabili rincontri nella vita reale, quei “magari ci becchiamo” che, so di cosa parlo, mettono a disagio anche chi li scrive nello stesso istante in cui li scrive. Sappiamo che ognuno deve stare al proprio posto, letteralmente, e questa consapevolezza fin qui ci ha spinto anche a evitare battute, a affermare con il corredo delle solite faccine che, se non ci trovassimo in questa situazione, magari avremmo potuto ribeccarci, ahahah. In un certo senso, è come se tra me e tanti altri fosse crollato un ponte che ci ha trovato su sponde diverse. La faccenda appare irreversibile, ma non ha nulla a che vedere col trauma di una separazione violenta, di un litigio, di un rancore mai sopito appena sotto la cenere, sembra soltanto normalità.

E poi c’è quel mittente sconosciuto, con il quale la conversazione è andata avanti un paio di giorni senza che riuscissi a ricordare chi era, senza che lui si presentasse esplicitamente, senza che trovassi il coraggio di chiedergli chi era, rimanendo aggrappato a una genericità spaventosa, mentre mi vergognavo della mia inspiegabile pavidità. La cosa è morta lì, e non sono riuscito a capire chi fosse nemmeno quando, alcuni giorni dopo, i rami fioriti sono spariti dall’immagine del profilo per fare spazio alla faccia normalissima di un mio grossomodo coetaneo con gli occhi chiari, vagamente stempiato. I giorni trascorrono, la conversazione si è irreversibilmente raffreddata e io ho perso un occasione per fare bella figura davanti a me stesso. Quando tutto ciò sarà finito, ricorderò nella mia pattuglia di ritornanti un milite ignoto. E se semplicemente, per qualche errore che non riesco a immaginare, avesse sbagliato numero?

(scritto fra marzo e aprile 2020 durante il primo lockdown)

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